Medulloblastoma, due finanziamenti AIRC per studiare la resistenza alle terapie

Un anno fa il finanziamento di 375mila euro dalla Fondazione Just per un progetto triennale volto ad individuare nuove strategie terapeutiche che possano scongiurare il rischio di recidiva, soprattutto nei bambini al di sotto dei 5 anni, per i quali le possibilità di guarigione sono ridotte. Oggi il sostegno arriva anche da AIRC grazie all’Investigator Grant quinquennale, vinto dal prof. Giampietro Viola, e alla borsa di studio biennale ottenuta dalla ricercatrice Elena Mariotto, afferenti al Laboratorio di Oncoematologia Pediatrica dell’Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza.
La ricerca sul Medulloblastoma getta, quindi, una base in più che permetterà, ora, di studiare i fenomeni che portano alla resistenza ai chemioterapici a partire dal ruolo della famiglia di proteine dette BAG.
Per saperne di più sullo stato della ricerca, abbiamo intervistato i protagonisti: il prof. Viola e la dott.ssa Mariotto.

Anzitutto, che cos’è il Medulloblastoma?
Il Medulloblastoma è il tumore cerebrale maligno più frequente dell’età pediatrica. In Italia, ogni anno vengono diagnosticati 400/450 casi, con un picco d’incidenza soprattutto nei bambini di età compresa fra i 2 e i 7 anni. Nonostante la sopravvivenza si aggiri intorno al 75%, l’uso di alte dosi di radioterapia e chemioterapia, previsto dall’attuale protocollo terapeutico, può avere gravissimi effetti collaterali sulla crescita e lo sviluppo neurologico dei piccoli pazienti.

Lo scorso anno Fondazione Just vi ha riconosciuto un importante sostegno. Come sta procedendo il progetto?
Ormai è trascorso quasi un anno da quando è iniziato il nostro progetto sullo studio dei meccanismi di resistenza nel Medulloblastoma. Questo tumore, infatti, presenta un’alta probabilità di ricaduta causata dalla presenza di alcune cellule che sopravvivono alle attuali terapie. Grazie al finanziamento della Fondazione Just, stiamo caratterizzando le cellule di Medulloblastoma resistenti dal punto di vista -omico (complessivo), ovvero stiamo valutando quali sono i geni utilizzati dalle cellule resistenti, quali proteine vengono prodotte e quali di esse sono le più attive. Questo ci permetterà di ottenere un quadro complessivo dei processi biologici che si attivano all’interno delle cellule resistenti alla chemioterapia e, quindi, di poterli colpire in un futuro non troppo lontano. I nostri primi ed entusiasmanti risultati ci suggeriscono che le cellule tumorali resistenti sviluppano una serie di meccanismi DETOX per difendersi dalla chemioterapia che le rendono, però, molto più aggressive.

Un nuovo impulso alla ricerca arriva ora anche da AIRC e vi permetterà di approfondire una nuova famiglia di proteine: qual è la sua peculiarità?
L’obiettivo che ci poniamo con questo progetto è di disegnare un nuovo farmaco che vada a colpire una famiglia di proteine denominate “BAG”, coinvolta nella resistenza alla chemioterapia. I dati preliminari dimostrano che le cellule di Medulloblastoma resistenti alla convenzionale chemioterapia hanno livelli più elevati di queste proteine. Il loro compito, già noto in altri tumori, è proprio quello di impedire la morte delle cellule tumorali, dotandole quindi di una maggiore aggressività.

È possibile agire su questa proteina?
Ad oggi, le molecole proposte come inibitori di BAG si possono contare sulle dita di una mano e hanno caratteristiche incompatibili con l’utilizzo clinico. Queste molecole, infatti, sono poco solubili, attive solo ad alti dosaggi o poco specifiche per il loro bersaglio, di conseguenza vi sono numerosi effetti secondari indesiderati.
Crediamo che per agire su BAG serva uno sforzo ulteriore. Questa proteina ha una struttura globulare, compatta, e manca quindi di quelle che vengono comunemente chiamate “tasche” in cui inserire i farmaci. Di qui la decisione di fare un passo indietro e di individuare con quali altre proteine interagisce BAG per poter trovare un nuovo inibitore e, successivamente, anche la tasca in cui poter inserire il nostro nuovo farmaco.
Per questo ambizioso progetto, utilizzeremo tecniche innovative come il “protein-painting”, in collaborazione con il Centro di Proteomica Applicata della George Mason University in Virginia (USA). Si tratta di una tecnologia che permette letteralmente di dipingere (con piccolissime molecole colorate) i complessi proteici, per farne una sorta di calco in gesso che restituirà una precisa mappatura della loro superficie e delle tasche su cui andare a disegnare il nuovo farmaco.

Tale studio potrà avere ricadute positive anche su altri fronti?
L’obiettivo principale, come abbiamo detto, è quello di comprendere meglio la famiglia delle proteine BAG, quale membro sia l’attore principale e con quali altri partner interagisca per innescare i meccanismi di resistenza osservati nelle cellule di Medulloblastoma. Inoltre, crediamo sia indispensabile trovare un farmaco in grado di inibire BAG per sensibilizzare le cellule tumorali che non rispondono alle terapie convenzionali ed evitare, così, la ricaduta dei pazienti e la comparsa di metastasi. Sicuramente, il fatto che queste proteine siano alterate in molti altri tumori – anche dell’adulto – ci fa sperare che l’identificazione di un nuovo composto possa essere utile anche per curare quelle malattie.